Con un algoritmo la qualità viene misurata chimicamente. Una ricerca italiana svela tutti i segreti. Ogni giorno in Italia si consumano circa 70 milioni di tazzine di espresso al bar. E nel comparto operano circa 650 aziende torrefattici. Ma la ricerca sul caffè è ancora molto di base. A differenza del vino, che fa ricerca ad altissimo livello e da molti anni, il caffè non può contare su un know-how avanzato, i cui effetti sul mercato sarebbero notevoli. Eppure c'è un'équipe tutta italiana che, prima al mondo, ha sviluppato un metodo per valutare la qualità chimica dei caffè. Si chiama Absis Coffee Test ed è stato sviluppato da Absis Consulting, società emanazione dell'Università di Udine. Partendo da una serie di analisi, che individuano e misurano la concentrazione di determinate molecole chiave nel caffè, il test fornisce un indice di qualità, che misura la perfezione e la profondità del prodotto. Vediamo come. A spiegarlo a ItaliaOggi è Roberto Zironi, direttore del Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell'Università di Udine e presidente di Absis Consulting.«In tutti gli alimenti esistono molecole volatili, che possono avere influenza sull'aroma, e molecole fisse, che influenzano gusto e sensazioni tattili della bocca. Di più. Ci sono molecole, che hanno carattere visivo, che danno colore e sfumatura al cibo». Bene, «da un punto di vista chimico, queste molecole sono tutte rilevabili e misurabili. Poi», dice Zironi, «c'è tutta l'analisi sensoriale, che giudica la qualità degli alimenti senza sapere quali siano le molecole responsabili delle caratteristiche sensoriali dei cibi». Così, secondo il professore, come due più due fa quattro, «se in un caffè sono presenti alcune molecole avremo una risposta sensoriale di un certo tipo». La questione non è da poco. E tocca una fetta di business rilevantissima. Con una classifica scientifica, capace di misurare la qualità dei caffè sul mercato, lo scontro tra competitor sarebbe durissimo. All'arma bianca. Senza contare che il caffè è bevanda globale; dunque, il terreno di scontro diventa globale. Eppure, il vero punto critico non è la fase di trasformazione, ma la fonte, la qualità della materia prima. «Ci sono correlazioni tra l'effetto di tostatura e il contenuto di molecole del caffè verde», avverte Zironi. «Le nostre torrefazioni lavorano bene, ma le informazioni sulla qualità del caffè verde sono molto molto scarse». Di più, «le molecole contenute nel caffè dipendono molto dalla storia, dalla lavorazione e dal trasporto del pre-tostato».E qui il nuovo metodo italiano gioca le sue carte migliori. Perché analizza chimicamente la materia prima, dandogli un peso e un valore di qualità potenziale del tostato. Un esempio?Zironi la spiega così: «C'è una molecola, molto famosa, di nome tricoloroanisolo. E' famosa perché è la molecola responsabile dell'odore di tappo nei vini». A generarla è un fungo, che attacca il sughero. Bene, «lo stesso fungo, in determinate condizioni», avverte Zironi, «si sviluppa anche sui chicchi di caffè nei campi di produzione o durante le fasi di prima lavorazione. Di più. Il fungo produce altre molecole e cambia la composizione del chicco di caffè. Che, così modificato, giunge in torrefazione». A quel punto, conclude il professore, «Il torrefattore, per quanto bravo, sottoponendo a tostatura il caffè modificato, non avrà mai la stessa qualità di un caffè ottenuto da un chicco sano».Il metodo. Tirando le somme, l'équipe di Udine mette in relazione i componenti chimici, misurabili, con i caratteri sensoriali. «Relazione che», spiega Zironi, «non è legata a una singola molecola, ma a gruppi di molecole. Mettiamo a punto indici tra gruppi molecolari e, poi, li mettiamo in relazione con le qualità positive e negative sensoriali». L'indice raggruppa tutte le molecole di interesse sensoriale pesante, a seconda del carattere positivo o negativo. Un carattere che l'équipe di Zironi misura così: «Abbiamo determinato quali concentrazioni molecolari sono effettivamente positive o negative per l'aroma finale del caffè. Per farlo abbiamo correlato i dati chimici con quelli sensoriali. Per cui ora i dati chimici ci forniscono indicazioni sulla piacevolezza del prodotto».Ma non basta. Manca l'ultimo tassello. Dalle correlazioni emerge una descrizione globale della qualità di un caffè, che potrà essere collocato in un punto della popolazione dei caffè italiani. «La popolazione individuata in partenza», chiosa Zironi, «ha fatto riferimento ad alcune decine di marche e a un numero elevato di valutazioni sensoriali e chimiche. Ma più aumenta il numero dei campioni, più aumenta la precisione del metodo». E il gioco è fatto. L'obiettivo? Zironi lo dichiara apertamente: «estendere questo metodo ad altri alimenti. A partire dal vino. E fornire un know-how scientifico alle pmi, che da sole non possono farcela».