- La Repubblica -
Interview to Giulio Trombetta, head of Costadoro and Consorzio Grancaffé, talking about the huge and urgent need of enhancing the culture of coffee quality. Standard prices should no longer exist: quality has to be paid a fair value, exactly as it happened for wines.
"Ecco perché dobbiamo copiare dai vignaioli: loro hanno saputo valorizzare al meglio la produzione Serve aprire le torrefazioni, per svelare agli amatori i segreti dell´espresso doc"
"Il vero problema del comparto non è la piccola dimensione delle aziende ma la mancanza di una cultura del gusto che faccia apprezzare una miscela rispetto a un´altra"
christian benna
Tutto il mondo che sta dentro una tazzina di caffè. Dall´acquisto e la selezione dei migliori raccolti, alla miscela e alla tostatura. Per i prossimi due anni, il compito di raccontarne sapori e tradizioni, passa a Giulio Trombetta, presidente e amministratore delegato di Costadoro, la storico marchio piemontese fondato in via Pietro Micca nel 1890, ora anche timoniere del Consorzio Grancaffé, che ha sede a Genova. «Dobbiamo ripercorrere la strada battuta dal vino û spiega l´imprenditore piemontese û. E comunicare con la stessa efficacia dei viticoltori la grande qualità che esce dalle torrefazioni di tutta Italia, specialmente da quelle torinesi". A cominciare da Costadoro che ha un giro di affari annuo di circa 11 milioni ed esporta un quarto della produzione e che ha puntato a conservare nel tempo la forza della tradizione pur accostandola a tecnologie sempre più all´avanguardia.
Presidente Trombetta, perché un consorzio di imprese? Anche nel vostro settore incomincia a sentirsi la necessità di aggregazioni?
«Il consorzio nasce nel 1989 per volontà di 11 aziende leader nella fornitura alla ristorazione di caffè espresso. Non si tratta però di un accordo commerciale, bensì di pura promozione. Il mercato, escludendo big player come Lavazza, è estremamente frammentato in una miriade di piccole e medie aziende: ci sono oltre 600 imprese in Italia, di cui una cinquantina solo a Torino. Il che è fisiologico, solo così si può seguire attentamente il cliente, bar o ristoranti, anche nell´assistenza. Difficile pensare a un risiko del caffè. Il problema del comparto non è quindi la dimensione aziendale, ma la mancanza di cultura attorno al prodotto. Basti pensare al Piemonte, e in particolare sotto la Mole, dove la torrefazione ha origini secolari, ma non è ancora adeguatamente riconosciuta. Per questa ragione incominciano a spuntare laboratori per svelare i segreti dell´espresso, quello di Costadoro verrà ospitato all´interno dello stabilimento di Lungo Dora Colletta».
Comunicare la qualità, d´accordo. Ma per competere all´estero come si fa?
«Il nostro caso, che è non è l´unico, dimostra che si può esportare con profitto senza essere dei giganti. Il 30 per cento dei ricavi di Costadoro arriva infatti da ordini oltreconfine: Montecarlo, Israele, Russia, paesi Baltici. La formula vincente è non barare con gli stranieri. Qualcuno ci prova, fornendo caffè non eccelso. Sono strategie di breve termine che rischiano di essere penalizzanti per tutti. Il consorzio si propone come organo di garanzia: non vendiamo solo un prodotto, ma tutto il mondo che gli sta dietro».
Dal suo osservatorio privilegiato, per le torrefazioni torinesi è un buon momento?
«Dopo un periodo di appannamento, con la cessione di nomi prestigiosi come Deorsola e Coinca, assistiamo a un vero e proprio rinascimento del comparto. Il caffè tostato nel capoluogo è, a detta degli esperti, sinonimo di eccellenza. Certo, a contenderci il grosso del mercato, siamo solo in cinque o sei imprese e il settore è saturo. Ma è da qui che parte la campagna di rinnovamento: sotto la Mole ci sono bar e caffè tra i più affascinanti d´Europa. Un aspetto da non sottovalutare. Design e ambiente sono tratti caratteristici per un consumo della bevanda che non sia solo quello frettoloso della mattina, ma una vera e propria esperienza del gusto».
Quali sono le strategie per far tornare il caffè un prodotto a "cinque stelle"?
«Oltre all´educazione ai sapori, cercando di far riconoscere ai palati la differenza di una miscela rispetto all´altra, bisognerebbe mettere la parola fine sulla standardizzazione dei prezzi. La qualità deve essere premiata da un giusto valore. Proprio come si fa con i migliori vini».