I prezzi del caffè. I costi dello zucchero. Chi ci guadagna: dalle piantagioni all'Italia.
Colpa del ciclo produttivo, come spiegano gli esperti. Qualcosa che, riassunto in pillole per i non addetti ai lavori, suona più o meno così: dopo dieci anni di prezzi bassi preparatevi a dieci anni di prezzi alti per il caro vecchio caffè, croce e delizia degli italici palati. Già perchè al Belpaese dove l'85% della popolazione (adulta) beve non meno di tre tazzine al giorno e consuma ogni anno quasi 6 milioni di sacchi di caffè che per ogni sacco fanno 60 chili, l'idea che il prezzo dell'amata tazzina aumenti ancora, beh, c'è da immaginarlo, non farà certo piacere. E invece tocca metterlo in conto, un possibile, prossimo rincaro. Lo immaginano gli analisti, non lo escludono sia pure con diverse probabilità i produttori, lo lasciano intendere i segnali degli ultimi mesi: in trenta giorni il prezzo a New York (il mercato mondiale di riferimento) dell'arabica, la qualità di caffè considerata la migliore, è cresciuta di un 15% da 1,15 dollari ai quasi 1,30 attuali, il 22% in più di quanto costava lo scorso dicembre. Le ragioni? Una soprattutto, l'andamento climatico di una zona importante per i raccolti del chicco verde, la Colombia, dove ha piovuto troppo e dove è in corso un programma di ringiovanimento delle piantagioni. Insomma, a fronte di una domanda costante di caffè, l'offerta è calata. È calata in Brasile, il primo produttore, in Vietnam, in Columbia. E le scorte sono scese toccando i 40 milioni di sacchi a fine 2008, meno di 3 mesi e mezzo di consumo totale, mentre per fine 2009 c'è chi immagina un deficit tra offerta e domanda di altri 5 milioni di sacchi con le scorte che a quel punto potrebbero arrivare al minimo storico. Insomma, uno scenario complesso dove, come ha detto al "Financial Times" Nestor Osorio capo dell'International Coffee Organisation, "la situazione non è affatto facile" o come ha aggiunto, sempre al "Financial Times", Andrea Illy, uno dei più noti produttori italiani di caffè, "siamo in una situazione pericolosa". Se la scarsità di forniture dovesse aggravarsi a seguito di un pessimo andamento climatico in Brasile nei mesi dei due raccolti, a giugno (quando il rischio sono le gelate) e soprattutto a ottobre (quando il rischio è la siccità), allora i contraccolpi sulla dinamica dei prezzi di produzione sarebbe inevitabile. "Viviamo sotto una spada di Damocle", riassume il presidente di Illycaffè ricordando come i cambiamenti climatici in corso in ogni parte del mondo rendono sempre meno facile previsioni sugli andamenti meteo e quindi sui raccolti. Creando inevitabile instabilità e alimentando la speculazione. Insomma, dopo il lungo ciclo dei ribassi quando il prezzo è crollato dai 315 cents di dollaro la libbra del 1998 ai 41,5 del 2001, i movimenti in corso confermano che il rialzo sia ormai innescato: fino a quanto? Qui ovviamente le previsioni divergono. E a chi, come Andrea Illy, immagina (in caso di siccità in Brasile) quota 200 a fine anno, si contrappone Mario Cerutti della Lavazza, l'azienda leader in Italia, che pur immaginando un trend in rialzo ("Oltre ai fatti climatici - spiega - ci sono gli aumenti dei costi di produzione, compreso quello del costo del lavoro in paesi dove il tenore di vita è per fortuna in aumento") si dice tranquillo da non mettere in conto "scenari apocalittici". Ma intanto, l'italico popolo dell'amata tazzina è sulle spine. Teme una mazzata, un rincaro da nord a sud, diverso nei numeri (dai 60 centesimi di Palermo all'euro e 20 di Milano) ma pur sempre un rincaro causato dall'aumento del prezzo del caffè. E con il popolo dei consumatori è in fibrillazione il mondo dei bar già colpito dal taglio delle colazioni - il 70% dei consumi di caffè al bar - dopo i forti rincari del prezzo della benzina quando, per pagarsi il pieno, un italiano su due - dicono le statistiche - ha preferito tagliare la sua prima tazzulella è cafè.