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La sfida del caffè in India, Lavazza contro Starbucks (Coffee challenge in India, Lavazza against Starbucks)

- Il Corriere della Sera - Italian coffee roaster has taken over Barista coffee chain to enter the Indian market but Starbucks is forming a joint-venture t


- Il Corriere della Sera -

Italian coffee roaster has taken over Barista coffee chain to enter the Indian market but Starbucks is forming a joint-venture to enter the same market. Starbucks opening in New Delhi and Mumbai are planned within the end of the year.

NEW DELHI - E' in gioco l'orgoglio nazionale. In India. L'espresso italiano contro quello globale. La Lavazza sta comprando la catena di caffetterie Barista, la seconda nel subcontinente, 150 negozi. Succede però che Starbucks, il gruppo americano che ha conquistato mezzo mondo con frappuccino e caramel espresso, sta formando una joint-venture per entrare nello stesso mercato ed entro fine anno aprirà a New Delhi e Mumbai. Si profila uno scontro formidabile: è la prima volta che un gruppo italiano cerca di globalizzare un prodotto tipico nazionale, in concorrenza con una multinazionale estera portentosa. Finora non c'è riuscito nessuno, che si trattasse di caffè, di spaghetti, di pizza.

In più, tutto succede in un Paese che promette molto in settori di consumo come quello dell'espresso ma non solo: in febbraio, una delegazione del governo italiano e della Confindustria saranno in India per cercare di dare corpo ad almeno un po' di opportunità d'affari.

Lavazza sta comprando una quota vicina al 50% di Barista, società del gruppo Sterling Infotech di S. Sivasankaran. Si tratta di una catena molto conosciuta in alcune città indiane: al momento non fa utili, ciò nonostante ha in programma di aprire 140 nuovi negozi entro l'anno. Per l'azienda italiana si tratterà di rendere attraente non solo l'idea di entrare in un caffè ma anche quella di tenere in mano una tazza con la scritta Barista. Uno dei punti di forza sui quali può fare conto Starbucks, infatti, è l'appeal internazionale del suo marchio, un vero status symbol. Il gruppo americano dovrebbe entrare in India in joint-venture con il gruppo Pantaloon - il maggior retailer del Paese, alleato tra l'altro delle Assicurazioni Generali - e con V.P. Sharma che già gestisce Starbucks in Indonesia. Le trattative, però, non sarebbero ancora concluse: il fatto certo è che Starbucks inizierà la sua attività a Delhi e Mumbai entro il 2007 e quando il gruppo Usa entra in un mercato la sua espansione è di solito rapidissima (apre sei nuovi negozi al giorno, nel mondo).

Al di là della tazza di caffè, le opportunità che offre l'India alle imprese italiane, ancora sottorappresentate nel Paese, sono molte. «Non è un mercato facile - dice Luca Ferro, responsabile dell'ufficio di Mumbai di Value Partners, la società italiana di consulenza aziendale - Nelle costruzioni e nel real estate c'è molto da fare: l'attività ferve, si tratta di costruire infrastrutture, edilizia residenziale, shopping mall. Nel settore, tra l'altro, a un'impresa estera è consentito di possedere il cento per cento di una indiana». Occasioni per i costruttori, dunque, ma anche per i produttori di macchinari per l'edilizia e per i cementieri (Italcementi possiede da tempo Zuari, un'azienda non grande). La necessità di migliorare le infrastrutture e la loro gestione apre anche spazi per gli operatori di servizi aeroportuali e portuali: Autogrill (gruppo Benetton) e Nuance (Stefanel) hanno per esempio vinto due gare per la gestione commerciale nello scalo aereo di Bangalore, il centro dell'India hi-tech.

«Ma anche dove ci sono limiti all'investimento le opportunità non mancano - aggiunge Ferro -. Per esempio nelle assicurazioni, dove uno straniero può possedere al massimo il 26% di una compagnia indiana, e nelle banche, dove il limite è del 49%. Settori in grande crescita e, al momento, con prezzi relativamente bassi proprio per i limiti azionari imposti. Le imprese italiane potrebbero fare un primo passo, ora non troppo costoso, in vista della liberalizzazione dei due settori che prima o poi dovrà arrivare e farà aumentare i prezzi».

Le imprese italiane, insomma, devono darsi una strategia per l'India. A maggior ragione nel mercato dei consumi, per nulla facile. «Il consumatore indiano non è come quello russo che compra il marchio, non importa il prezzo - dice Ferro - Ha una forte attenzione al value-for-money. C'è uno spazio per i marchi del lusso, ma io vedo ancora meglio i brand di fascia media, con un forte carattere italiano e prezzi accessibili. Mancano anche catene di prodotti per l'arredamento, Ikea non c'è. Ma servono strategie. Il mercato dei consumi era di 11 milioni di famiglie nel 2001, salirà a 28 milioni di famiglie nel 2009. Fatto cento il 2003, i consumi sono saliti a 120 nel 2005 e arriveranno a 150 nel 2008. Con una crescita maggiore nei voluttuari rispetto all'alimentare e con una popolazione tra le più giovani del mondo». In più, ci sono le opportunità nell'outsourcing, che non sono solo i call center ma anche il decentramento delle operazioni di calcolo attuariale, della scrittura dei software, della ricerca di base farmaceutica. E i grandi progetti, da quelli della Fiat, alleata del gruppo Tata, alla Finmeccanica che punta molto su navi e aerei militari. «Finora, l'Italia ha fatto in India meno acquisizioni del Belgio», nota Ferro. Chissà che Lavazza non sia per tutti un'iniezione di caffeina.

Danilo Taino

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