- Il Sole 24 Ore -
Description of the entire production process that leads to the excellent coffee cup. A provileged agreement between Italian roaster illycaffè and coffee growers.
CAFFÈ DAL BRASILE AL BAR SOTTO CASA
Tutto il processo produttivo che porta a migliorare la celebre bevanda. Un'intesa privilegiata lega l'italiana Illy e i coltivatori
DA MATAS DE MINAS
SANDRO MANGIATERRA
Édio Anacleto Miranda ha 65 anni e da 25, ogni giorno, percorre a piedi («così riesco a guardarmi attorno e a pensare») i 12 chilometri di sterrati e sentieri che lo conducono da Araponga fino ai 1.200 metri della sua fazenda, sulle pendici della Serra do Brigadeiro. Vallate e montagne di bellezza selvaggia, parco naturale, nello stato di Minas Gerais, 330 chilometri a sudest di Belo Horizonte, nel cuore di quella che i contadini continuano a chiamare Zona da Mata, alla maniera dei minatori, e non con il nuovo nome Matas de Minas. Quest'anno, tuttavia, Édio Anacleto ha avuto un daffare aggiuntivo, perché ha dovuto accogliere un sacco di gente "strana" che si è spinta fin lassù: agronomi, manager di società di esportazione, addirittura giornalisti. Tutti smaniosi di conoscere i suoi segreti. Il motivo di tanta, improvvisa popolarità è semplice: questo signore asciutto, di poche parole, con la sola licenza elementare, ha vinto l'ultima edizione del Prêmio Brazil de qualidade do café para espresso indetto dalla Illy.
Non una bazzecola: un premio al quale, a partire dall'istituzione, nel 1991, hanno partecipato 10mila produttori. E che l'azienda triestina, non a caso, ha esteso in Colombia e in India e progressivamente intende proporre in altre nazioni. Una sorta di "bollino blu" per chi si qualifica ai piani alti della classifica.
Miranda, ovvio, i segreti se li tiene ben stretti. Si limita a dire che dalle sue parti la terra e il microclima sono molto favorevoli per far nascere un ottimo caffè e che poi bisogna lavorare sodo. Sorride, invece, quando parla del premio, di cui era venuto a conoscenza durante un incontro all'associazione dei coltivatori di Araponga: «Nel 2005 ho partecipato quasi per scherzo e sono giunto tra i 50 finalisti. L'anno scorso ci ho riprovato, ma mai avrei immaginato di piazzarmi primo assoluto. Che cosa ho fatto con i 30mila dollari vinti? Ho comprato un essiccatore meccanico. Per migliorare ancora e vendere alla Illy quantitativi maggiori. Adesso sono al 30% dei 400 sacchi prodotti (un sacco pesa 60 chili, ndr): vorrei arrivare presto al 50 per cento». Questione di soddisfazione personale, oltre che di soldi, che qui scarseggiano. E i 340 real per sacco versati dalla Illy (circa 160 euro) contro i 240 dei concorrenti fanno comodo, eccome.
Pagare meglio i produttori conviene pure alla Illy. Lo sviluppo sostenibile c'entra fino a un certo punto. È una scelta strategica precisa. «Dai primi anni Novanta abbiamo deciso di comprare la materia prima direttamente dai coltivatori, eliminando minimo tre passaggi di intermediazione. Il mercato lo richiedeva: bisognava risalire all'origine del chicco - spiega Andrea Illy, presidente e Ad -. I consumatori sono disposti a spendere qualcosa in più per un caffè migliore e noi, di conseguenza, offriamo mediamente il 30% in più a chi ci consente di soddisfare la clientela». I risultati si sono visti: il fatturato è cresciuto dai 50 milioni di euro del 1992 agli attuali 250. Con 600 dipendenti e una presenza del brand in 140 Paesi del mondo.
È la qualità. Che va ricercata sempre, in ogni modo, a ogni costo. Anche nel caffè. A Trieste della qualità hanno fatto una bandiera. E hanno coniato uno slogan, «La tazzina perfetta», che è tutto un programma. Significa puntare all'eccellenza nell'intero processo, dalla coltivazione appunto, alla tostatura, alla produzione di macchine per sfornarlo, il caffè. Non basta. Si sono dedicati persino all'ambiente dove va bevuto: infatti di recente è stata lanciata la rete di bar in franchising "Espressamente Illy". Un'attenzione a 360 gradi che ha richiesto, negli ultimi tre anni, un investimento intorno ai 100 milioni.
«Il nostro punto di forza, comunque, è il rapporto diretto e costante con i proprietari delle piantagioni», assicura Andrea Illy. In Brasile, per esempio, l'azienda vanta 5mila fornitori che, a parte l'extraprice, ricevono il sostegno di tecnici della casamadre per migliorare continuamente la lavorazione del caffè verde (rigorosamente di specie arabica). Una lavorazione non facile, che richiede il controllo di tre variabili chiave: umidità, temperatura, zuccheri. Alessandro Bucci, responsabile per gli acquisti nel Paese sudamericano, e Nelson Carvalhaes, presidente della Porto de Santos, la società di export controllata al 51% da Illy, hanno incontrato l'anno scorso 750 fazenderos. E non tanto per stipulare contratti, quanto per mettere in piedi programmi di qualità. Senza contare il ruolo svolto dai club dei produttori e, soprattutto, dall'Università del caffè. Basata a Trieste, nel 2000 ha aperto la prima sede a San Paolo. In seguito ha allargato i confini a Shanghai, Seul, Amsterdam, Il Cairo e Bangalore. Prossime tappe, la Germania, la Grecia, gli Emirati Arabi. Entro il 2010, si stima che 20mila persone, tra contadini e titolari di pubblici esercizi, avranno frequentato i suoi corsi e disporranno perciò di un know how di alta professionalità.
«Utile a noi, ma principalmente a loro», tiene a sottolineare Andrea Illy. Una conferma? «La nostra famiglia gestisce questa fazenda dal 1950 - raccontano i fratelli Ednilson e Walter Dutra, di Manhuaço, sempre nella Zona da Mata - ma prima di entrare in contatto con gli italiani non sapevamo nemmeno che dai nostri 500 ettari di terra nascesse un caffè pregiato: pensavamo ai quantitativi, non all'aroma». Giunto a Trieste, il caffè verde viene sottoposto al ciclo industriale, dalla tostatura al confezionamento, per la trasformazione e la commercializzazione. «Utilizziamo processi e macchinari in molti casi messi a punto da noi, grazie all'esperienza acquisita dalla fondazione, nel 1933, a oggi» si inorgoglisce Andrea Illy. In particolare quando parla della tecnica di pressurizzazione, un'innovazione introdotta fin dagli anni Trenta che prevede la sostituzione dell'aria con gas inerte in modo da impedire l'ossidazione e consentire il mantenimento dei profumi originari: «Un metodo che ci ha dato una spinta fondamentale alle esportazioni». Lo stesso packaging, in pratica i barattoli di alluminio caratteristici dell'azienda, viene autoprodotto da un'unità metalmeccanica interna.
Poi, però, la bevanda va preparata. Ecco allora che Illy ha studiato insieme con Cimbali una linea di macchine per il bar e con Bialetti Cuor di Moka, che impedisce di bruciare il caffè sul fornello della cucina. Entro dicembre, infine, verrà lanciato Hes, Hyper espresso system, il nuovo sistema di capsule per i ristoranti. «Siamo stati i primi, negli anni Settanta, a immettere sul mercato le cialde, cioè il caffè porzionato - sostiene Andrea Illy - ma il metodo aveva bisogno di una serie di innovazioni». Deve esserci del vero, se Hyper espresso system, per il quale è stata concepita un'apposita macchina chiamata FrancisFrancis X2 (altre ne seguiranno), è coperto da sei brevetti. Pare che esca un caffè irresistibile, con una crema che si conserva per una quindicina di minuti. Il team dei quaranta assaggiatori triestini da settimane fa la fila per berlo.
Ricerca in tutti i sensi
- «Un chicco di caffè è più complesso di una motocicletta e un po' meno di un'auto. Complessità chimica, s'intende». Furio Suggi Liverani, responsabile per la ricerca della Illy, riassume il suo impegno in una battuta. Che però rende bene l'idea di uno sforzo considerevole. A Trieste sono attivi cinque centri di ricerca, dove lavorano una quindicina di specialisti. «Prossima tappa - aggiunge Suggi Liverani - intrecciare programmi insieme con un pool di psicologi».
Il primo laboratorio, chiamato Aromalab, situato nello Science Park, è rivolto all'analisi chimica: nel chicco sono presenti 1.500 sostanze, di cui 800 volatili. In stretta collaborazione con Aromalab opera Sensorylab, che indaga sulla percezione del gusto umano: «La miscela Illy è costruita proprio sulla base di standard sensoriali». C'è poi un laboratorio di biologia, in stretto contatto con l'ateneo triestino: obiettivo, conoscere tutti i fattori che influiscono sul ciclo vitale del seme per capire come si determinano le sostanze gustose. Techlab si dedica invece alla pura tecnologia, proiettato su tutto quanto può migliorare l'erogazione della bevanda all'utente finale. Foodsciencelab, infine, studia l'ingegneria degli alimenti, con particolare riferimento alle altre applicazioni del caffè.
È in queste strutture che si è sviluppato il Progetto Moka, «per provare a rinnovare una macchinetta sostanzialmente rimasta uguale da 70 anni», sfociato nel lancio, insieme con Bialetti, di Cuor di Moka. Ed è qui che è nato Hes, Hyper Espresso System, il rivoluzionario sistema di capsule destinato ai ristoranti. (s.man.)
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Scatti d'autore. Fotografie di Sebastiao Salgado realizzate per il progetto di Illy " In Principio", in mostra a Londra. Il presidente e a.d. Andrea Illy (a sinistra) e (a destra) Furio Suggi Liverani, responsabile della ricerca.
Sostegno al produttore: è selezionato e formato dall'azienda di Trieste, che si impegna ad aiutarlo a incrementare la qualità del raccolto. Sono circa 15 i paesi da cui si rifornisce, tra cui Etiopia e Guatemala, e producono esclusivamente Arabica. Inoltre ha dato vita ad iniziative di sostegno per le comunità produttrici.
Filiera tagliata. L'esportatore in alcuni paesi coincide con il produttore e questo consente alla Illy di avere un passaggio diretto, che riduce la filiera. Dove non è possibile, riveste un ruolo di "facilitatore" nelle relazioni con i produttori del Paese interessato.
I consumatori. Famiglie, bar, grande distribuzione, uffici: il caffè Illy arriva in 50mila locali e nelle case di 130 nazioni. È solo nello stabilimento di Trieste che viene tostato il caffè verde e poi trasformato in prodotto al consumo (grani, macinato, cialde o capsule). Dal chicco verde alla tostatura. Tutti i passaggi e i protagonisti che fanno funzionare l'azienda. La Illy conta 600 dipendenti, di cui 400 solo a Trieste.