E.S.E. Members News

Un caffè che mette appetito (Coffee and a good appetite)

- Italia Oggi - Interview to Alessandro Lorenzi of Lavazza talking about the new acquisition plans of the Turin-based coffee roaster. Il gruppo torinese ha


- Italia Oggi -

Interview to Alessandro Lorenzi of Lavazza talking about the new acquisition plans of the Turin-based coffee roaster.

Il gruppo torinese ha 300 mln in cassa e prepara nuove acquisizioni Focus sui mercati emergenti dopo l'ingresso nell'americana Green Mountain. Parla il top manager Lorenzi, che viene da esperienze in Ferrero e in Coin.

Le aziende familiari sono uno snodo delicato e fondamentale del capitalismo italiano. Ne sa qualcosa Alessandro Lorenzi che, dopo esperienze dirigenziali in Ferrero e Coin, è dal 2006 direttore centrale corporate e consigliere di Lavazza. Sessantaduenne, torinese doc, Lorenzi ha lavorato per aziende familiari di primo piano e, in questi anni, ha assistito alla loro trasformazione. Per esempio quella di Lavazza. Oggi il gruppo torinese del caffè è arrivato alla quarta generazione e, sotto la guida dell'amministratore delegato Gaetano Mele, si è focalizzato sui mercati esteri. Lorenzi è stato uno dei protagonisti di questa strategia e ha giocato un ruolo decisivo nel recente accordo con l'americana Green Mountain. Ad agosto, infatti, Lavazza ha comprato per 250 milioni di dollari il 7% del gruppo quotato al Nasdaq, siglando contestualmente una serie di accordi produttivi e distributivi. «Questi accordi sono strategici per noi», spiega Lorenzi a Milano Finanza. «Ci permetteranno infatti di approfittare del boom dell'espresso negli Stati Uniti». L'acquisizione in America è solo una tappa dell'offensiva lanciata da Lavazza tre anni fa. Nel 2007, infatti, il gruppo ha conquistato le aziende indiane Barista Coffee e Fresh & Honest Cafè, mentre l'anno successivo è stata la volta delle brasiliane Café Grão Nobre e Café Terra Brasil. All'inizio di quest'anno è arrivata una tripletta composta dall'italiana Ercom, dalla bulgara Onda Coffee Break e dall'argentina Coffice. E poi Green Mountain. «Ci siamo concentrati sui mercati emergenti. L'obiettivo è avere strutture produttive che servano questi Paesi dal manufactoring fino alla distribuzione», commenta Lorenzi. Peraltro la tipologia del consumatore sui mercati emergenti è molto diversa da quella europea. «In India, per esempio, il caffè è uno status symbol legato alla cultura occidentale e, in particolare, al made in Italy. I consumatori abituali sono ragazzi con un buon reddito». Dopo una prima fase di consolidamento, adesso il gruppo torinese sta pensando di entrare anche sul mercato retail indiano. Per ora si tratta soltanto di un progetto, visto che i giganti della grande distribuzione non sono ancora presenti nel subcontinente, ma nei prossimi anni si vedrà. L'offensiva, in ogni caso, non è terminata. «Nel 2011 potremmo concludere altre importanti acquisizioni, anche se è difficile prevedere nazionalità e dimensioni delle eventuali prede», spiega Lorenzi. Resta il fatto che il gruppo ha in cassa ancora 300 milioni e può dunque sostenere lo shopping con mezzi propri, senza ricorrere all'indebitamento bancario. «Questa è un'abitudine virtuosa di Lavazza, che ha sempre avuto un'esposizione molto ridotta con gli istituti di credito e ha scelto di sostenere la crescita con risorse proprie. Il credit crunch, insomma, non ci tocca» Anche per questa ragione l'azionariato resterà blindato. Da decenni si inseguono indiscrezioni sull'arrivo di soci esterni o su una quotazione in Piazza Affari, ma la famiglia ha sempre smentito. Le speculazioni sono tornate di attualità nel febbraio scorso, con la scomparsa Emilio Lavazza, presidente onorario ed esponente della terza generazione della famiglia. Il testimone è passato ad Alberto Lavazza, cugino di Emilio e presidente del gruppo dal 2008, ai suoi figli Marco e Antonella e a Giuseppe e Francesca, figli di Emilio. Oggi la Luigi Lavazza spa resta controllata al 100% dalla famiglia attraverso la holding Finlav e alcune fiduciarie. «Questo assetto non cambierà», ribadisce Lorenzi, con le debite cautele che un manager usa verso le scelte della proprietà. Il futuro industriale del gruppo? Le previsioni sono molto caute. A fine anno il conto economico dovrebbe mantenersi in linea con il 2009, che si era chiuso con ricavi a 1,09 miliardi, 168 milioni di ebitda e 43,8 milioni di utile netto. Sul 2011, però, pesa l'incertezza delle materie prime. «In questi ultimi mesi la liquidità presente sui mercati si è spostata dall'equity alle commodity», spiega Lorenzi. «Questo effetto speculativo ha condizionato anche le quotazioni del caffè che hanno raggiunto livelli molto sostenuti. Non sappiamo se il rally si esaurirà oppure persisterà ancora a lungo, ma è chiaro che condizionerà i nostri risultati economici». Intanto Lorenzi fa un primo bilancio della sua carriera, iniziata nel 1975 in Fiat e passata accanto a dinastie come i Ferrero e, appunto, i Lavazza. Ma come lavora un top manager in una multinazionale familiare? «Ferrero e Lavazza sono due esempi eccellenti del capitalismo italiano», precisa subito Lorenzi. «Una differenza tra i due gruppi? Lavazza è già arrivata alla quarta generazione, mentre Ferrero è ancora alla prima. Nel gruppo torinese quindi il processo manageriale risulta molto più rodato», conclude Lorenzi.

Similar posts