- Milano Finanza -
Scenario piece of news on Lavazza and the history of the family that founded it. How the company started and the most important steps that made the Turin-based roaster a leading key player worldwide.
La multinazionale del caffè non sente la crisi. I ricavi superano quota 1 miliardo e nei primi quattro mesi del 2010 la crescita è intorno al 5%. Il vicepresidente Giuseppe racconta i segreti della famiglia torinese.
Due domande un po' velenose e piene di divertito rammarico circolano in questi giorni tra i tifosi della nazionale di calcio italiana che vivono in Sudafrica. «Lippi non sa che è proprio un ex giocatore della Juventus che distribuisce il miglior caffè qui a Johannesburg? Non poteva farsene dare una pinta così Cannavaro e soci si svegliavano?». Nicola Caricola, difensore della Juventus di Michel Platini, Marco Tardelli e Paolo Rossi, oggi ha 47 anni. È lui l'uomo della Lavazza nel Paese di Nelson Mandela. Per le miscele tradizionali, per il decaffeinato, per l'innovativo sistema a cialde A modo mio, per il caffè quattro m (miscela, macinatura, macchina e manualità) e per la diffusione del prodotto solidale Tierra l'ex calciatore è il referente in Sudafrica. «Caricola lavora molto bene, non c'è dubbio», dice a MF-Milano Finanza Giuseppe Lavazza, 45 anni, tre figli, laureato in economia e commercio e dal 2008 attento (ed etico) vicepresidente e direttore marketing della Luigi Lavazza spa. Ogni anno nel mondo si bevono più di 14 miliardi di tazzine del caffè che, come diceva Nino Manfredi in un memorabile spot televisivo, «più lo mandi giù, più ti tira su». Il caffè Lavazza tira su anche i conti: il marchio non sembra avvertire crisi. All'assemblea del 7 giugno l'amministratore delegato Gaetano Mele ha spiegato che nel 2009 si sono registrati 1,09 miliardi di ricavi e 168 milioni di ebitda e nei primi quattro mesi del 2010 «abbiamo avuto un incremento del 5%». Non solo: Lavazza ha aumentato il volume d'affari in Asia del 5%, in Centro e Sud America del 33% e nell'Europa dell'Est del 7%. Un miracolo italiano che dimostra come possa funzionare bene il capitalismo famigliare. La dinastia Lavazza è alla quarta generazione. Il vertice è saldamente nelle mani della famiglia: Alberto Lavazza è presidente, i figli Marco e Antonella sono consiglieri e responsabili dei settori development&acquisitions e del business dei coffee shop, mentre i nipoti Giuseppe e Francesca sono rispettivamente vicepresidente e direttore corporate immagine. Fu Luigi Lavazza (1859-1949) a posare il primo chicco di caffè di questa avventura imprenditoriale. «Avvenne nel 1895 grazie a un prestito di 50», racconta Giuseppe Lavazza. «Il mio bisnonno Luigi aprì il negozio di via San Tommaso 10 a Torino. Vi si vendeva di tutto, ma soprattutto caffè. Era un uomo curioso, volitivo, un contadino di Murisengo, in provincia di Alessandria. Quando arrivò a Torino si iscrisse a una scuola di commercio e a una di chimica. Torino era stata capitale d'Italia ed era la patria dei caffè. Lui capì l'opportunità e investì in tecnologia: nel 1923 comprò la prima macchina Eureka per il ciclo completo della lavorazione». La fama di eccellente torrefattore superò i confini nazionali e Lavazza si guadagnò rispetto anche in Brasile, dove Luigi comprava il caffè che, a causa della sovrapproduzione, era destinato alla distruzione. «Un contadino come lui», dice il pronipote, «non poteva accettare di vedere un prodotto della terra finire al macero». Luigi sarebbe soddisfatto del risultato raggiunto oggi da quella filosofia di vita e di lavoro. Dopo la Seconda Guerra Mondiale i figli decisero di dedicarsi solo al caffè scoprendo una vocazione industriale con la costruzione del primo stabilimento in Corso Novara, sempre a Torino. Erano gli anni 50: il caffè era in grani e il sistema commerciale era basato sulla distribuzione tramite furgoncini che giravano per Piemonte, Lombardia, Liguria, Valle d'Aosta. Poi arrivarono sodalizio con il pubblicitario Armando Testa per gli spot di Paulista, l'acquisto del caffè Splendid, le confezioni sottovuoto, ma anche l'austerity, la crisi, la lira debole. Il Brasile non dimenticò l'amicizia nei confronti del gruppo torinese e contribuì a sostenere l'azienda italiana. Nel 1980 Lavazza aprì in Francia la prima consociata estera e cinque anni dopo lanciò Crema e Gusto, un brand che da solo conquistò il 16% del mercato italiano. Oggi Lavazza è una multinazionale con 4 mila dipendenti di cui 2.300 all'estero (1.600 in India), 11 consociate estere, 2,3 milioni di sacchi da 60 chili di caffè verde importati ogni anno da 20 Paesi produttori. Ancora: quattro stabilimenti in Italia (Settimo Torinese, Verres, Gattinara, Pozzilli), due in India (Chennai) e uno in Brasile (Tres Rios), 104.600 tonnellate di caffè prodotte ogni anno, 7.200 tonnellate di decaffeinato, 2 miliardi di cialde (che escono dallo stabilimento di Gattinara, diventato tra i più grandi del mondo). Molto determinata anche la politica di acquisizioni: nel 2007 Lavazza ha rilevato due società in India, nel 2008 due aziende in Brasile per la distribuzione automatica di caffè e per la commercializzazione di macchine espresso, quest'anno l'acquisto di Ercom, società italiana proprietaria dei marchi Eraclea, Dulcimea e Whittington. Nel giro di un anno Lavazza aprirà due nuove fabbriche in Brasile e India. E a ottobre nello stabilimento di Settimo Torinese sarà inaugurato il centro di ricerca e sviluppo. «Il mio tempo è dedicato al 100% all'azienda», dice Giuseppe, che pure è appassionato anche di cucina, arte e antiquariato. «Lavazza vuole essere anche essere portatrice di valori e progetti sociali. Lavoriamo con la onlus Save the children e nel 2004 è nata la fondazione Giuseppe e Pericle Lavazza, che ha informatizzato alcune scuole in Brasile e finanziato la costruzione di una scuola in Africa. Per la produzione inoltre lavoriamo assieme a Rainforest Alliance, ong americana dedicata all'ecoturismo e all'agricoltura sostenibile».